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Dal 9 al 21 Novembre
INAUGURAZIONE SABATO 9 NOVEMBRE ALLE ORE 17:30

Cura, organizzazione e presentazione
del Critico d'Arte e Curatrice Maria Palladino

Fin dalle epoche più remote, la rappresentazione della figura ha significato per l'uomo un'autoriflessione relativa al proprio posto nel mondo, alla ricerca del senso della propria esistenza.
A partire da 32.000 anni or sono, con i graffiti rupestri, l'individuo ha narrato di sé per costruire la propria storia, come rito propiziatorio per la caccia, per segnalare che un dato luogo era occupato, o testimoniare il proprio passaggio. Il corpo era raffigurato in maniera estremamente stilizzata, con il tronco frontale e gli arti laterali, a lasciare immaginare una rudimentale idea di profondità.
Altre volte semplici impronte di mani stavano ad indicare un'affermazione di identità, la traccia della propria esistenza.
Nel Paleolitico Superiore, le Veneri Steatopigie, datate da 35.000 a 11.000 anni fa, documenterebbero la femminilità del tempo, con attributi fisici molto pronunciati, statuette votive del culto coevo della Dea Madre.
Innegabile la rilevanza della resa artistica della grazia e della proporzione nella Grecia classica, allorché il Canone di Policleto, redatto dallo scultore intorno al 450 a. C., stabiliva la ricerca di un modulo che descrivesse armonia e bellezza, nelle forme del corpo come nell'architettura.
Compiendo un salto temporale fino al periodo rinascimentale (1492 – 1600), la ripresa dei canoni classici e la visione antropocentrica e neoplatonica, l'essere umano è posto al centro del mondo, con la capacità di determinare il proprio destino, e penetrare con il proprio intelletto la creazione divina. Esempi sono le opere di grandi maestri quali Leonardo, Michelangelo, Raffaello, Botticelli, Donatello, Tiziano, Giorgione, i cui capolavori ancora oggi incantano il mondo.
Uno scarto notevole possiamo osservarlo invece successivamente, in epoca postimpressionista e preespressionista: Edvard Munch (1863 – 1944), con il dipinto “L'urlo” (1893), di cui l'autore produsse diverse versioni, è una visione della natura i cui colori stravolti echeggiano la disperazione dell'uomo, travolto dalle vicissitudini della vita, e i cui tratti somatici risultano anch'essi snaturati.
Con opere quali “La danza” (1909), “La gioia di vivere” (1906), “La musica” (1910), di Henri Matisse (1869 – 1954), le forme appaiono schematiche, il segno si fa continuo, corposo e avvolgente, il ritmo è serrato e i colori divengono espressione delle passioni.
Il quasi contemporaneo Cubismo (1907 – 1914) vede il sovvertimento di tutti i parametri, a partire dalle “Demoiselles d'Avignon” (1906 – 1907) di Pablo Picasso, in cui ogni elemento, dalla prospettiva, alle proporzioni, al colore, è messo in discussione e scomposto, al fine di includere e prospettare nella visione ogni punto di vista possibile, una crisi degli strumenti conoscitivi, considerato anche il periodo pre-bellico.
In età secessionista (1898 – 1918), il lavoro di uno dei capofila, Egon Schiele (1890 – 1918), aaprofondiva il contesto di questa crisi, divenuta ancor più drammatica nel periodo della Prima Guerra, espandendosi nel campo dei valori umani e della psiche. L'estrema disarticolazione delle membra, presente nei suoi soggetti, e la loro erotizzazione, è rivelatrice, oltre che di una grande maestria anatomica, di una sofferenza interiore che esplicita il demone di ogni grande artista, dato dalla sua stessa capacità di rompere gli schemi.
Il Surrealismo di Joan Mirò (1893 – 1983), scultore, pittore e ceramista catalano, osserva un superamento della forma in vista della creazione di un vero e proprio linguaggio che si avvicina all'astrazione: i cosiddetti “miroglifici”, coem definiti dal poeta e scrittore francese Raymond Queneau (1903 – 1976), i quali producono un codice ricorrente, con i propri particolari grafemi, che ripercorre i motivi dell'automatismo psichico e di un intenso spiritualismo, rivelando creature polimorfe.
L'arte informale di Willem de Kooning (1904 – 1997), nutrendosi di luce, colore e segno, scompone queste istanze per dare origine a suggestioni che non ravvisano, ma evocano le entità citate, come nella serie di sei, a partire dall'opera antesignana “Donna I” (1950 – 1952).
Di segno differente, la serie delle “Têtes d'otages” di Jean Fautrier (1898 – 1964), esponente del “Tachisme”, pittura informale a macchie degli anni '50 in Francia. Protagonista della resistenza nel periodo della Seconda Guerra, ne ritrarrà la tragica essenza in queste fisionomie appena accennate, che immortalano le cicatrici dell'anima dei partigiani francesi (1942 – 1943).
Per amore di sintesi, giungiamo all'esperienza espressionista del secondo Novecento del pittore irlandese Francis Bacon (1909 – 1992): l'esperienza personale e individuale diviene protagonista, traducendosi in immagini che turbano e inquietano, rivelando il vissuto celato nelle ombre della coscienza, come nella celeberrima sequenza dei “Papi” (1949 -1956), derivati dal “Ritratto di Papa Innocenzo X” (1650) di Diego Velàzquez, in cui i colori cupi echeggiano la desolazione degli ambienti.
Questa breve carrellata descrive a grandi linee il rapporto fra la parvenza umana e l'arte, che gli artisti selezionati ad esporre in questa mostra saranno chiamati ad interpretare e proseguire, seguendo la loro tecnica, stile e poetica personale.
20.09.2024 Maria Palladino

In esposizione opere degli artisti: Abo Alberto Nori, Aldo Diana, Andrea Pisano, Annalise Ambrogio, Blasco Maria Patricolo, Corrado Campisi, Davide Clementi, Domenico Zullo, Edy Tiravanti, Egle Piaser, Elisabetta Mion, Gianni Mattera, Gianluca Grosso, Manuel Silvestrin, Mariella Stirpe, Marina Comerio, Marino Salvador, Michela Marinai, Monica Antiga, Oronzo Mattiace, Piero La Rosa, Romina Lorusso, Stefano Zaniboni, Ylenia Pilato.

Presso: Barchessa Villa Quaglia, Viale XXIV Maggio 11, 31100 Treviso (TV)
Orari di apertura: Martedì – Sabato, 15:00 – 19:30. Chiuso Domenica e Lunedì.
Ingresso libero. https://www.barchessavillaquaglia.it
Per Informazioni e contatti: Maria Palladino: 3341695479 audramaria76@gmail.com
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