Conosco Francesco Cecere da moltissimi anni e ancora oggi mi chiedo come ogni volta possa stare tutto in una tela di quadro. La pittura quando è arte, se lo è davvero per molti per lui è la vita stessa che lo ha generato dai suoi sogni non sempre felici e che oggi trovano spazio e soprattutto ritrovano forza attraverso le opere altrimenti sacrificate al silenzio degli occhi. Cecere Francesco così come raccontano i suoi lavori è figlio di un’epoca strizzata nel presente come dentifricio in un tubetto ormai traboccante, la terra è un luogo comunque piccolo e quindi per questo non basta a contenere il grido di terrore e di bellezza che le sue opere sembrano cantare a chi guardandole comincia ad ascoltare. Tutti gli elementi sono rappresentati come fossero già all’interno della tela che chiede solo di essere ripulita dalla patina grigia della normalità, sottende a qualcosa che chiede spazio e forza per nascere. Non a caso il rosso è una figura costante negli ultimi lavori, è carico di ricordi ma anche proteso verso future nascite che siamo ansiosi di vedere con gli occhi ma soprattutto con spirito libero. Opere come “Gioco di un cuore ferito” (2008) o “Ghiacciai di parole
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